01 Giu IL RAGLIO DELL’ASINO
È nel corpo che sentiamo scorrere la nostra vita scandita dal ritmo del battito cardiaco. Il ritmo è una delle caratteristiche della vita.
È il ritmo del nostro respiro, inspirare – espirare, il ritmo veglia – sonno, il ritmo fame– sazietà, il ritmo desiderio – appagamento, il ritmo riposo – lavoro. L’alternarsi del giorno e della notte, il ritmo delle maree dell’oceano, o il ritmo delle stagioni. Le categorie bene – male, spirito – corpo, sacro – profano, positivo – negativo, dualismo conflittuale che ricorda quell’ambivalenza simbolica da cui proveniamo (syn-bàllein dal greco <mettere insieme>). Il ritmo è corpo e il corpo è ritmo e nel ritmo il nostro corpo esprime la sua e-motività, ciò che lo muove. L’inconscio stesso è pulsazione, movimento di apertura – chiusura.
Ci capita avvolte quando camminiamo al fianco di qualcuno che sentiamo il bisogno di metterci al suo stesso passo. Ricerchiarmo una sintonia ritmica che ci comunica un senso di armonia col nostro compagno.
L’uomo ha iniziato la sua vita nel ventre materno, cullato dal battito del cuore della mamma. Ritmo cardiaco, ritmo respiratorio in cui si manifestano le prime forme d’esistenza. Per questo motivo il suono del tamburo agisce nel profondo e penetra direttamente nel nostro inconscio ovvero nella parte di noi piu’ antica, piu’ arcaica legata alle emozioni.
Il tamburo è uno dei primi strumenti musicali conosciuti che ritroviamo presso tutte le culture più primitive. E’ stato protagonista, nelle civiltà più antiche di riti propiziatori, cerimonie, danze tribali e riti di passaggio e con il suo suono accompagnava nel cosiddetto “viaggio sciamanico”.
La pelle usata per costruire tamburi era comunemente pelle d’asino (come ci ricorda la popolare favola di Fedro sull’asino, destinato ad essere picchiato anche da morto).
Ritmo primitivo sperimentato nella vita originaria intrauterina ove i battiti del cuore materno si con-fondevano con i battiti del nostro cuore in uno stato di totale reciproca com-penetrazione. Una con-fusione di battiti che sperimentiamo di nuovo nella relazione amorosa, nei rapporti coinvolgenti o quando immersi in una folla ci sentiamo come in un ventre materno. Il ritmo è il fondamento della vita, come anche della musica, parlo di quel ritmo arcaico fatto di battere e levare, uno\due, uno\due, vita\morte, gioia\dolore, si\no, desiderio\paura. Ritmo originario è il raglio dell’asino, alternarsi di alti e bassi, aggressività e passività, suoni acuti e gravi, ih\oh – ih\oh, inspirare ed espirare con forza, con fatica.
Tutto il corpo è coinvolto nello sforzo del verso dell’asino: inspirare nel suono acuto –hi- , spingere fuori nel suono grave –ho- . Il corpo dell’asino somiglia a un mantice che soffia e il movimento rivela una tensione che si scarica nel ritmo. Al contrario della melodia che parla di sentimenti e investe la parte superiore del corpo, il ritmo è corpo, è ctonio, appartiene al linguaggio della corporeità, muove la parte inferiore del corpo e ci induce irresistibilmente a danzare. E la danza trova il suo mezzo naturale nel ritmo che si esprime nel movimento dei piedi, delle gambe e del bacino. Ogni movimento compiuto ritmicamente è accompagnato da sensazioni piacevoli. In questo senso ritmo e godimento si identificano.
Negli animali tutti i movimenti esprimono questa armonia ritmica che si traduce in piacere. Un tempo, quando i lavori erano compiuti dall’uomo e non dalle macchine, gli operai usavano accompagnare i lavori più pesanti o più noiosi con il canto, come gli schiavi nella raccolta del cotone o le mondine nelle risaie, e la melodia dava un ritmo ai movimenti e l’attività motoria compiuta ritmicamente faceva risultare meno faticoso lo sforzo fisico.
Il canto, la musica hanno la capacità di rievocare il ritmo che è dentro ognuno di noi. E il ritmo del raglio viene dal profondo, porta in sé qualcosa di doloroso, di angoscioso, un alternarsi di ih e di oh ripetuti faticosamente sino allo sfinimento. E il raglio comunica un senso di angoscia per lo sforzo che lo accompagna come se facesse fatica ad uscire, angoscia infatti deriva da “angustia”, strettoia, che ben evidenzia la sensazione di passare attraverso uno stretto canale. Il raglio, una domanda che non trova risposta e si ripropone ogni volta fine a se stessa. Con il suo ritmo spasmodico, sembra voler chiedere qual è il senso dell’esistenza, il senso del nostro esserci.
Piero Della Francesca in un suo dipinto “La Natività “rappresenta la nascita di Gesù accolta nel mondo da un coro di angeli. Dietro di loro il bue e l’asino. Il bue con la testa bassa sembra guardare il bambinello, l’asino con la testa rivolta verso l’alto con l’espressione di chi sta cantando. Quindi l’asino leva la sua voce al cielo e canta alla nascita di Gesù. Non solo gli angeli, ma anche l’asino fa parte del coro e canta per rendere gloria a Dio. Non solo le voci angeliche, ma anche la voce stonata e sgraziata dell’asino fa parte della bellezza del creato. Infatti, il solo coro di voci candide degli angeli, non deve essere apparso, all’autore del quadro, rappresentativo della realtà.
Il mondo, infatti, è costituito di tante voci e ogni essere vivente si esprime con una sua tonalità. Anche l’asino, con il suo raglio dissonante, festeggia l’arrivo di Gesù. Dissonante perché diverso, ma Gesù è venuto per tutti. Il suono cacofonico “kako”, brutto, del raglio elevato al cielo in lode al Creatore, vuole affermare il diritto di tutti a partecipare alla gioia del creato: belli e brutti, buoni e cattivi, sani e malati, tutti esprimono la grandezza di Dio. E la vita si manifesta attraverso il corpo perché è attraverso il corpo che percepiamo e sentiamo.
Anche la voce è una manifestazione della corporeità. Anche se il canto è immateriale, è soltanto una vibrazione, tuttavia trova nel corpo la sua origine. Nella nostra società, caratterizzata dalla rimozione della corporeità e dalla proibizione del contatto fisico, sempre più è forte il bisogno di contatto e il bisogno di recuperare, attraverso la corporeità, sicurezza di sé e delle sensazioni che si provano, spontaneità nelle azioni e nei movimenti, autenticità nei sentimenti.
Eugenio Milonis