09 Dic IL SIMBOLISMO DELL’ASINO
Asino pio – Asino malvagio
Spesso i termini <segno> e <simbolo>, sono usati come sinonimi, ma essi hanno significati molto diversi.
Il segno è “qualcosa che sta per qualcos’altro”, vedo il cavallino rampante e l’immagine evoca la ferrari.
Ha sempre un significato. Un significato rigido perché rimanda sempre alla stessa cosa. Non ha mai significato in sé, ma solo in virtù di ciò a cui si riferisce. Lo usiamo per trasmettere un messaggio. Serve per comunicare. Ad esempio le parole, i segnali stradali, i cartelloni pubblicitari sono tutti segni strettamente correlati all’oggetto a cui rinviano.
Il simbolo al contrario non ha mai un significato definito, ma è aperto a infinite possibilità interpretative.
Il termine “simbolo” deriva dal greco (sim-ballein) sta per “mettere assieme”. Fa riferimento a una pratica diffusa presso i popoli primitivi in virtù della quale gli amici nel momento di separarsi per una partenza, dividevano una tessera di terracotta spezzandola a formare due metà. Ognuno conservava per sé una metà. Ricongiunte, in futuro, avrebbero permesso, a loro e ai loro figli, di recuperare il significato dell’antica amicizia.
L’uomo, a differenza degli animali, vive non solo nel mondo della realtà fisica ma anche in quello della realtà simbolica.
Jung afferma che un segno “ha un significato fisso, essendo un’abbreviazione (convenzionale) che sta per una cosa conosciuta oppure è un rimando a quella cosa medesima”, invece, il simbolo indica un contenuto polisemico, non definibile e non convenzionale, ma “possiede numerose varianti”.
Il simbolo non ha un significato, ma esprime energia, tensione, ha una forte carica emotiva ed è ambivalente, si manifesta in una dimensione di conoscenza irrazionale e deve essere ogni volta decifrato.
Infatti l’asino è il simbolo del soggetto bruto, fortemente sgraziato e volgare, ma nello stesso tempo umile cavalcatura di preti e profeti
Con le sue lunghe orecchie simbolo di ignoranza e presunzione (il cappello con orecchie d’asino veniva messo sul capo di chi non studiava), ma anche simbolo regale di sapienza, (l’organo attraverso il quale si accede alla conoscenza del mondo). Nell’immaginario simbolico dell’asino contemporaneamente prendono parte due opposte nozioni di sapere e ignoranza.
Re Mida, il re dalle orecchie d’asino, viene chiamato come giudice nella gara musicale nella quale si sfidano il dio Apollo e il satiro Marzia. Nonostante Apollo abbia indubbiamente suonato meglio, il sovrano dà comunque la vittoria a Marzia.
Allora, il dio Apollo, infuriato, alla fine della gara, scuoia Marzia come si scuoia l’asino per farne, con la sua pelle, lo sciamanico tamburo. Punirà il re Mida facendogli spuntare sulla testa due orecchie d’asino affinchè impari a riconoscere la buona musica.
Nel mito dell’antico Egitto, l’asino rosso animale sacro a Seth è simbolo di malvagità.
Nella mitologia greca era collegato a Sileno, simbolo di sfrenata sensualità, vecchio ubriacone flaccido e dissoluto, a Priapo iperfallico e a Dioniso la follia.
Nella tradizione giudaico-cristiana al contrario umile e paziente (come cavalcatura di Maria durante la fuga in Egitto e infine come cavalcatura regale nell’ingresso di Gesù a Gerusalemme)
Nel medioevo è al centro di molte novelle e racconti popolari .
Di volta in volta, sacro o diabolico, paziente o riottoso, sapiente o ignorante, presuntuoso o umile, ostinato o docile, bene e male, grandezza e grottesco, bellezza e oscurità, serio e ridicolo, positivo e negativo.
Il medioevo erediterà molte storie e tradizioni asinine, sottolineando l’ottusità e l’ostinazione dell’asino, ma anche la sua docilità. I connotati demoniaci dell’asino (il grande organo sessuale; lo zoccolo; le stesse lunghe orecchie), verranno attribuiti al demonio.
I bestiari medievali riportano come in certi periodi dell’anno ci sia agghindava e ci si camuffava in maniera oscura e ambigua, in questa occasione un asino veniva portato all’interno della chiesa. Trascinato a forza fin sopra l’altare veniva abbigliato come un prete cominciando a ragliare e masticare ostie sacre e arrivando anche a defecare su quell’altare sacro.
In letteratura lo incontriamo spesso collegato a storie di trasformazioni.
Apuleio nel romanzo “L’Asino d’Oro”, racconta il viaggio avventuroso e le disavventure del protagonista che è appunto mutato in asino in quanto schiavo dei piaceri della carne e di un’insana curiosità per la magia. Dovrà superare difficili prove per giungere alla riconquista di se stesso e riacquisire nuovamente sembianze umane.
Anche Pinocchio, il burattino più famoso del mondo, viene trasformato in asino e venduto al circo. Alla fine ottiene la sua ‘trasformazione’ e da burattino di legno diventa un bambino in carne ed ossa.
Nella favola ‘Pelle d’Asino’ la bellissima principessa è nascosta sotto la pelle maleodorante di un asino e solo alla fine della storia si mostrerà in tutta la sua bellezza. Ricorda come nel linguaggio dell’Alchimia la nostra Pietra Filosofale, è celata nella materia inizialmente grezza, vile.
In questo senso l’asino è l’allegoria di qualcosa di nascosto che attende di essere portato alla luce, qualcosa che come i minerali giace nascosto nelle viscere della terra, la materia grezza che attraverso un lento processo di trasformazione dovrà raggiungere un livello superiore. Animale ctonio legato alla terra e al sottosuolo. Allegoria di ciò che sta dentro e deve essere portato fuori. Metafora di un mondo interiore (inconscio, anima) che deve essere armonizzato con un mondo esteriore (maschera, persona). Manifestazione del bisogno di portare alla coscienza lo scopo della propria esistenza, ciò per cui si è nati e che deve essere realizzato
Significato che non sfugge a Jung che quando legge “L’asino d’oro” di Apuleio associa la metamorfosi dell’asino al principio di individuazione ovvero percorso di conoscenza verso la crescita e la maturazione individuale.
Quindi un libro, quello di Apuleio (come anche il racconto di Pinocchio), con una sorta di contenuto iniziatico.
Storie dove ogni essere vivente diventa quello che è destinato a diventare fin dal principio.
Nietzsche aveva espresso questo concetto con la famosa frase: “Divieni ciò che sei”
Già Socrate esortava i suoi discepoli: “Ascoltate il vostro <daimon>” (la vostra vocazione).
Ne’ “Il libro rosso” Jung scrive: “vivi l’animale che è in te”.
Immaginiamo allora di trovarci, seguendo Lacan, al termine della nostra vita davanti ad un tribunale (che poi è il nostro giudice interno) dove ci viene chiesto: «Hai tu, nel corso della tua vita, agito conformemente alla legge del tuo desiderio? Oppure, hai tu tradito questa legge?»
EUGENIO MILONIS